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Ipertensione in gravidanza: causa una morte su cinque
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Ipertensione in gravidanza: causa una morte su cinque
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Il 20% del totale dei decessi della donna in gravidanza ha una sola causa: l’ipertensione. Un problema in crescita nel nostro Paese come in Europa, a causa dell’età sempre più avanzata delle primipare, particolarmente vulnerabili. Colpisce il 5% delle gestanti. “È importante informare le nostre pazienti perché non sottovalutino i sintomi precoci – commenta il prof. Herbert Valensise, presidente dell’Associazione Italiana Preeclampsia (AIPE) e del Congresso europeo della International Society for the study of Hypertension in Pregnancy (ISSHP), che si è aperto a Roma il 5 Ottobre –. È necessaria però una maggior sensibilizzazione dei medici. Le future madri a rischio vanno monitorate ed indirizzate su un corretto percorso di prevenzione. Non solo per evitare i decessi. Nuovi studi presentati in questo congresso dimostrano infatti che chi soffre di questo disturbo durante la gestazione, sarà in futuro 5 volte più a rischio di incorrere in eventi cardiaci gravi, come l’infarto. La pressione alta è quindi in grado di portare in evidenza eventuali debolezze del cuore. La gravidanza diventa così una vera e propria prova da sforzo. Queste donne vanno seguite in maniera mirata”. L’ipertensione in gravidanza, nota anche come preeclampsia o gestosi, è infatti un importante campanello d’allarme anche per la salute futura della donna. È l’unica patologia che può avere complicanze fatali durante i nove mesi, con una mortalità di 8 – 10 casi su 100.000. Si calcola che sia responsabile dei decessi di circa 76.000 madri e 500.000 bimbi ogni anno nel mondo. Sono stati presenti a Roma cardiologi, ginecologi, nefrologi e internisti. “Il ruolo del ginecologo, in particolare, è fondamentale – continua il prof. Valensise –. Rappresenta la figura di riferimento per salute della donna, dall’adolescenza alla menopausa. Lo specialista deve accompagnarla specialmente in periodi complessi come quello della gravidanza, soprattutto quando si verificano problemi seri come l’ipertensione. Questa complicanza necessita poi ovviamente di figure specifiche come il cardiologo, con cui deve instaurarsi un continuo confronto per seguire al meglio le pazienti”.
La preeclampsia, la cui origine è ancora sconosciuta, si può verificare generalmente tra la 20esima settimana di gestazione e la fine della prima settimana post-partum. È una vera e propria nemica silenziosa, in quanto i sintomi sono spesso associati ai normali effetti di questo particolare periodo sul corpo. È caratterizzata principalmente da ipertensione (oltre i 140/90 mmHg), edema (gonfiore a volto e mani) e dalla presenza di proteine nelle urine. L’età è fortemente correlata alla comparsa della sindrome. Le over 35 presentano un’incidenza tripla rispetto alle donne più giovani. Altri fattori di rischio sono familiarità, patologie mediche preesistenti (soprattutto malattie cardiovascolari o metaboliche), primiparità (prima gravidanza) ed obesità. Al momento l’unico modo per “curare” la pre-eclampsia è far nascere il bambino, a prescindere dallo stato di avanzamento della gestazione. “Una donna che riporta i primi segni di preeclampsia moderata può essere trattata ambulatorialmente – aggiunge il prof. Valensise –. Il riposo a letto deve essere rigoroso, con visita medica ogni due giorni. In caso si decidesse di intervenire in modo più deciso, il parto dovrebbe rappresentare l’obiettivo finale della “terapia”. In occasioni come queste diventa prioritario salvare la vita a mamma e bambino”.
Il 20% del totale dei decessi della donna in gravidanza ha una sola causa: l’ipertensione. Un problema in crescita nel nostro Paese come in Europa, a causa dell’età sempre più avanzata delle primipare, particolarmente vulnerabili. Colpisce il 5% delle gestanti. “È importante informare le nostre pazienti perché non sottovalutino i sintomi precoci – commenta il prof. Herbert Valensise, presidente dell’Associazione Italiana Preeclampsia (AIPE) e del Congresso europeo della International Society for the study of Hypertension in Pregnancy (ISSHP), che si è aperto a Roma il 5 Ottobre –. È necessaria però una maggior sensibilizzazione dei medici. Le future madri a rischio vanno monitorate ed indirizzate su un corretto percorso di prevenzione. Non solo per evitare i decessi. Nuovi studi presentati in questo congresso dimostrano infatti che chi soffre di questo disturbo durante la gestazione, sarà in futuro 5 volte più a rischio di incorrere in eventi cardiaci gravi, come l’infarto. La pressione alta è quindi in grado di portare in evidenza eventuali debolezze del cuore. La gravidanza diventa così una vera e propria prova da sforzo. Queste donne vanno seguite in maniera mirata”. L’ipertensione in gravidanza, nota anche come preeclampsia o gestosi, è infatti un importante campanello d’allarme anche per la salute futura della donna. È l’unica patologia che può avere complicanze fatali durante i nove mesi, con una mortalità di 8 – 10 casi su 100.000. Si calcola che sia responsabile dei decessi di circa 76.000 madri e 500.000 bimbi ogni anno nel mondo. Sono stati presenti a Roma cardiologi, ginecologi, nefrologi e internisti. “Il ruolo del ginecologo, in particolare, è fondamentale – continua il prof. Valensise –. Rappresenta la figura di riferimento per salute della donna, dall’adolescenza alla menopausa. Lo specialista deve accompagnarla specialmente in periodi complessi come quello della gravidanza, soprattutto quando si verificano problemi seri come l’ipertensione. Questa complicanza necessita poi ovviamente di figure specifiche come il cardiologo, con cui deve instaurarsi un continuo confronto per seguire al meglio le pazienti”.
La preeclampsia, la cui origine è ancora sconosciuta, si può verificare generalmente tra la 20esima settimana di gestazione e la fine della prima settimana post-partum. È una vera e propria nemica silenziosa, in quanto i sintomi sono spesso associati ai normali effetti di questo particolare periodo sul corpo. È caratterizzata principalmente da ipertensione (oltre i 140/90 mmHg), edema (gonfiore a volto e mani) e dalla presenza di proteine nelle urine. L’età è fortemente correlata alla comparsa della sindrome. Le over 35 presentano un’incidenza tripla rispetto alle donne più giovani. Altri fattori di rischio sono familiarità, patologie mediche preesistenti (soprattutto malattie cardiovascolari o metaboliche), primiparità (prima gravidanza) ed obesità. Al momento l’unico modo per “curare” la pre-eclampsia è far nascere il bambino, a prescindere dallo stato di avanzamento della gestazione. “Una donna che riporta i primi segni di preeclampsia moderata può essere trattata ambulatorialmente – aggiunge il prof. Valensise –. Il riposo a letto deve essere rigoroso, con visita medica ogni due giorni. In caso si decidesse di intervenire in modo più deciso, il parto dovrebbe rappresentare l’obiettivo finale della “terapia”. In occasioni come queste diventa prioritario salvare la vita a mamma e bambino”.
MartaRinaldi- Principiante
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Data d'iscrizione : 08.07.11
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